Carlotta De Menech: La protezione dell’affidamento “qualificato” nel diritto privato europeo. Sullo sfondo del dialogo tra Corte Edu e giudici nazionali in materia di ripetizione degli emolumenti non dovuti dalla P.A. (CEDU, 11.2.2021, Casarin c. Italia)
CAUSA CASARIN c. ITALIA
(Ricorso n. 4893/13)
SENTENZA
Art. 1 P1 • Rispetto dei beni • Ingerenza sproporzionata a seguito dell’azione delle autorità volta a ottenere il rimborso di somme versate per errore • Margine di apprezzamento più rigoroso quando l’errore è imputabile unicamente alle autorità statali • Principio di «buon governo» • Errore di valutazione da parte del datore di lavoro nel quale la dipendente poteva ragionevolmente avere fiducia • Ricorrente che ha dovuto sopportare l’errore dell’amministrazione
STRASBURGO
11 febbraio 2021
Nella causa Casarin c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo (prima sezione), riunita in una Camera composta da:
Ksenija Turković, presidente
Krzysztof Wojtyczek,
Linos-Alexandre Sicilianos, Gilberto Felici,
Erik Wennerström, Raffaele Sabato,
Lorraine Schembri Orland, giudici,
e da Renata Degener, cancelliere aggiunto di sezione,
Visti:
il ricorso (n. 4893/13) proposto contro la Repubblica italiana da una cittadina di questo Stato, la sig.ra Amelia Casarin («la ricorrente»), che il 24 dicembre 2012 ha adito la Corte ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»);
la decisione di portare a conoscenza del governo italiano («il Governo») le doglianze relative all’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione, separatamente e in combinato disposto con l’articolo 14 della Convenzione, e di dichiarare il ricorso irricevibile per il resto;
le osservazioni delle parti;
Dopo avere deliberato in camera di consiglio il 19 gennaio 2021,
Emette la seguente sentenza, adottata in tale data:
INTRODUZIONE
1. Il ricorso verte su un’ingerenza nel patrimonio della ricorrente, a seguito dell’azione delle autorità volta ad ottenere il rimborso di una parte delle somme corrisposte a titolo di garanzia stipendiale all’interessata.
IN FATTO
2. La ricorrente è nata nel 1950, risiede a Torino ed è stata rappresentata dall’avvocato M. Lanzilli, del foro di Torino.
3. Il Governo è stato rappresentato dal suo ex agente, E. Spatafora, e dal suo ex co- agente, P. Accardo.
I. LA PROCEDURA DI MOBILITÀ
4. Da ottobre 1973 ad agosto 1998 la ricorrente lavorò come insegnante alle dipendenze del Ministero della Pubblica Istruzione, collocata, in base ai suoi titoli e alla sua qualifica funzionale, nel ruolo dell’amministrazione centrale dello Stato.
5. Nel 1998 il Ministero della Pubblica Istruzione, d’intesa con il Ministero della Funzione Pubblica e con l’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) avviò una procedura intercompartimentale di mobilità a seguito della disponibilità dell’INPS, l’ente amministrativo incaricato della gestione del sistema di pensione obbligatoria e degli altri servizi di previdenza sociale, ad integrare circa millecinquecento docenti in esubero.
6. La procedura di mobilità fu regolamentata dall’ordinanza del Ministero della Pubblica Istruzione n. 217 del 1998, dalla circolare dello stesso ministero n. 135 del 1998 e dal contratto collettivo nazionale decentrato dell’11 marzo 1998. In particolare, l’ordinanza ministeriale stabiliva che ogni candidato individuato in base alla graduatoria sarebbe stato «collocato nei ruoli dell’INPS alla VII qualifica funzionale, conservando l’anzianità maturata e il trattamento economico in godimento, all’atto del trasferimento, se più favorevole».
7. In tale contesto, la ricorrente, fornendo le informazioni pertinenti richieste, presentò una domanda di mobilità, che fu accettata, e la stessa fu trasferita all’INPS. Da settembre 1998 a febbraio 2004 l’interessata poté conservare il suo stipendio in godimento, in quanto le fu accordato a tal fine il beneficio di un assegno detto «di garanzia stipendio ad personam» (di seguito: «l’assegno ad personam») il cui importo era pari alla differenza tra l’ultimo stipendio percepito al Ministero della Pubblica Istruzione e quello previsto per il suo nuovo impiego presso l’INPS. A partire dal mese di marzo 2004 la ricorrente perse il beneficio dell’assegno ad personam.
8. Nell’ottobre 2004, alla ricorrente fu diagnosticata una grave malattia invalidante. Nell’aprile 2005 una commissione per l’accertamento dell’invalidità civile emise a suo favore un parere di inabilità totale e permanente al lavoro, che offriva all’interessata il diritto di andare in pensione anticipatamente. La ricorrente andò in pensione il 30 dicembre 2005.
9. In una data non precisata, la ricorrente presentò un ricorso dinanzi al tribunale di Pinerolo al fine di contestare la decisione dell’INPS di interrompere i versamenti operati a titolo di assegno ad personam. Il 24 luglio 2007 il tribunale respinse il suo ricorso (sentenza n. 501/2007) ritenendo che il sistema nazionale non prevedesse il diritto al mantenimento dell’assegno riconosciuto agli insegnanti nel quadro della procedura di mobilità intercompartimentale qualora questi ultimi fruissero di un aumento di stipendio. Il giudice nazionale concluse che la ricorrente non aveva quindi diritto a mantenere il
beneficio dell’assegno e che il principio del riassorbimento (si veda la parte «Il quadro giuridico e la prassi interni pertinenti» infra) era quindi applicabile nel caso di specie.
10. La ricorrente non interpose appello avverso questa decisione.
II. IL PROCEDIMENTO CIVILE CONTRO LA DECISIONE DI RIPETIZIONE DELL’INDEBITO DELL’ISITITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE (INPS)
11. Il 13 maggio 2008 la direzione centrale «Sviluppo e gestione risorse umane» dell’INPS inviò una lettera alla ricorrente informandola della sua decisione di ripetere le somme versate a titolo di garanzia stipendio per il periodo compreso tra settembre 1998 e febbraio 2004, basandosi sulla giurisprudenza della Corte di cassazione nel frattempo consolidatasi in materia (sentenze nn. 8543/2006, 9567/2006, 8693/2006, 55/2007). Secondo l’INPS, la ricorrente era stata avvisata di questa eventualità con una e-mail inviata nel febbraio 2004, fatto che l’interessata contestò successivamente.
12. Nella sua lettera, l’INPS indicava che «(…) Successivamente, con indirizzo uniforme la Corte di cassazione (…), ha confermato le ragioni esposte dall’Amministrazione in cause instaurate da dipendenti transitati in mobilità dal comparto scuola (…); l’Amministrazione quindi, in via di autotutela deve recuperare quei conguagli già determinati e accantonati, sulla scorta dei principi giurisprudenziali affermati dalla Suprema Corte».
13. L’INPS invitava quindi la ricorrente a procedere al rimborso volontario della somma richiesta entro il termine di trenta giorni, in mancanza del quale avrebbe avviato un’azione di ripetizione dell’indebito.
14. Secondo l’INPS, la somma contestata ammontava a 14.727,45 euro (EUR), e risultava dalla differenza tra gli importi percepiti a titolo di assegno ad personam e la somma che avrebbe dovuto essere versata alla ricorrente una volta applicato il riassorbimento.
15. Il 9 giugno 2008 la ricorrente inviò una lettera all’INPS con la quale contestò la legittimità di tale richiesta invitandola a soprassedere sull’esecuzione della sua decisione. Il 17 giugno 2008 l’INPS confermò la sua decisione e indicò che la stessa sarebbe stata messa in esecuzione nel luglio 2008.
16. Il 18 settembre 2008 la ricorrente presentò una domanda di conciliazione alla competente direzione provinciale del lavoro.
17. In assenza di una convocazione da parte della commissione di conciliazione, il 14 gennaio 2009 la ricorrente presentò al tribunale di primo grado di Pinerolo una richiesta di annullamento dell’azione dell’INPS.
18. Con sentenza del 27 aprile 2009, il tribunale accolse la richiesta della ricorrente (sentenza n. 10004/09). Pur richiamando la giurisprudenza della Corte di cassazione sull’applicabilità del principio di riassorbimento agli assegni ad personam, ritenne illegittima l’azione di ripetizione intentata dall’INPS. Secondo il tribunale, le modalità di versamento delle somme contestate potevano solo aver ingenerato nella ricorrente un legittimo affidamento circa il carattere dovuto dei versamenti. Il tribunale rilevò anche che, per dare fondamento alla sua azione di ripetizione dell’indebito, l’INPS aveva fatto riferimento a una e-mail inviata nel 2004 alla ricorrente, ma mai prodotta in udienza. Infine, ritenne che la nuova giurisprudenza della Corte di cassazione non potesse avere un’incidenza sui diritti acquisiti, tenuto conto in particolare della «buona fede» della ricorrente.
19. L’INPS interpose appello avverso questa sentenza dinanzi alla corte d’appello di Torino. Il 20 luglio 2010 la corte d’appello annullò la decisione emessa in primo grado.
20. La corte d’appello ritenne che, in materia di ripetizione dell’indebito di somme versate a titolo di stipendio dall’amministrazione, una volta provata l’assenza di base legale del versamento, la ripetizione non potesse essere esclusa in ragione del «legittimo affidamento» e della «buona fede» del dipendente. Inoltre, la corte d’appello affermò che la ricorrente non poteva far valere i diritti acquisiti sulle somme ricevute a titolo di garanzia stipendio, tenuto conto dell’evoluzione giurisprudenziale in materia, la quale aveva avuto un impatto sulla base legale del diritto rivendicato da quest’ultima.
21. Con ordinanza del 26 giugno 2012, la Corte di cassazione, basandosi sugli stessi principi sopra menzionati, rigettò il ricorso presentato dalla ricorrente e condannò quest’ultima anche al pagamento della somma di 2.030 EUR per le spese sostenute dall’INPS. Con lettera del 19 luglio 2012 l’INPS richiese il versamento di questa somma alla ricorrente. Quest’ultima rispose che, tenuto conto della sua situazione economica, che qualificava precaria (poiché la sua unica fonte di reddito era la sua pensione che ammontava a 1.200 EUR al mese), avrebbe provveduto ai versamenti della suddetta somma mediante rate mensili di 500 EUR.
22. Il 12 settembre 2012 l’INPS chiese alla ricorrente il versamento della somma dovuta a titolo dell’azione di ripetizione, il cui importo attualizzato era di 13.288,39 EUR, entro il termine di 30 giorni. Il 30 ottobre 2012 la ricorrente informò l’INPS di non essere in grado di versare la somma richiesta in un’unica soluzione e offrì quindi di provvedervi mediante rate di 200 EUR mensili, proposta che l’INPS accettò. La ricorrente indicò anche che i versamenti erano effettuati con riserva di ripetizione.
IL QUADRO GIURIDICO E LA PRASSI INTERNI PERTINENTI
I. LA PROCEDURA DI MOBILITÀ
23. L’articolo 202 del decreto del Presidente della Repubblica n. 3 del 10 gennaio 1957 (intitolato «Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato»), che disciplina, nell’ambito dei passaggi di carriera, il mantenimento del trattamento economico del dipendente, è così formulato:
«Nel caso di passaggio di carriera presso la stessa o diversa amministrazione agli impiegati con stipendio superiore a quello spettante nella nuova qualifica è attribuito un assegno personale, (…) [di un ammontare] pari alla differenza fra lo stipendio già goduto ed il nuovo, salvo riassorbimento nei successivi aumenti di stipendio per la progressione di carriera anche se semplicemente economica.»
24. L’articolo 3, comma 57, della legge n. 537 del 1993 (legge finanziaria 1994), prevede quanto segue:
«Nei casi di passaggio di carriera di cui all’articolo 202 del citato testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3, ed alle altre analoghe disposizioni, al personale con stipendio o retribuzione pensionabile superiore a quello spettante nella nuova posizione è attribuito un assegno personale pensionabile, non riassorbibile e non rivalutabile, pari alla differenza fra lo stipendio o retribuzione pensionabile in godimento all’atto del passaggio e quello spettante nella nuova posizione.»
25. L’articolo 34 del decreto legislativo n. 29 del 1993 regolamenta i casi di trasferimento di attività, indicando che i dipendenti hanno diritto al mantenimento del loro trattamento giuridico in godimento, in applicazione dell’articolo 2112 del codice civile.
26. La circolare ministeriale n. 218 del 6 maggio 1998, nella formulazione in vigore all’epoca dei fatti, nelle sue parti pertinenti al caso di specie recita:
«L’ordinanza che si allega [di seguito l’ordinanza n. 217 del 1998] inviata ai prescritti controlli e redatta secondo i criteri contenuti nel C.C.D.N. [il contratto collettivo nazionale decentrato] stipulato il 20 aprile 1998, disciplina la presentazione della domanda di trasferimento nei ruoli dell’INPS – VII qualifica funzionale, da parte del personale docente (…).»
27. L’ordinanza del Ministero della Pubblica Istruzione n. 217 del 6 maggio 1998 disciplina la procedura di mobilità intercompartimentale tra detto Ministero e l’INPS. Le sue disposizioni pertinenti nel caso di specie sono così formulate:
«Articolo 2
Il personale interessato al trasferimento presso una delle sedi dell’INPS presenta, entro il termine perentorio di 30 giorni dalla data di emanazione della presente Ordinanza, domanda in carta semplice al Provveditore agli Studi della provincia presso cui presta servizio.
(…)
Articolo 4
Nella domanda gli aspiranti (…) devono indicare: a) l’appartenenza a classe di concorso in esubero; b) la complessiva anzianità di servizio;
(…)
d) i titoli culturali posseduti.
(…)
Articolo 6
6.1 (…) il Provveditore agli Studi, individua, sulla base della graduatoria, il docente destinatario del contratto da stipularsi con l’INPS (…).
6.2 Il docente è collocato nei ruoli dell’INPS alla VII qualifica funzionale, conservando l’anzianità maturata e il trattamento economico in godimento, all’atto del trasferimento, se più favorevole, oltre ai trattamenti accessori previsti per il personale dello stesso INPS.
(…)
7. (…) La presente ordinanza sarà soggetta ai controlli di legge.»
28. Il contratto collettivo nazionale decentrato dell’11 marzo 1998 concernente i criteri applicabili alle procedure di mobilità intercompartimentale volontaria del personale scolastico prevede quanto segue nelle sue parti pertinenti al caso di specie:
«2. Il Ministero della Pubblica Istruzione d’intesa con L’Amministrazione o Ente Pubblico interessato attiverà le procedure atte a consentire la mobilità del personale (…).
• •
•
4. Il provvedimento che attiva le procedure (di mobilità) sarà adeguatamente pubblicizzato ed indicherà:
la determinazione numerica dei posti da ricoprire e le sedi di servizio; le funzioni o mansioni da svolgere;
(…)
l’inquadramento giuridico ed economico all’atto del trasferimento e il quadro normativo del comparto di riferimento;
(…)
6. Il presente accordo ha valore fino alla ridefinizione delle procedure della mobilità intercompartimentale per disposizioni legislative o per norme di contrattazione collettiva.»
29. L’articolo 2 del decreto legislativo n. 80 del 31 marzo 1998 è così formulato:
«3. (…) L’attribuzione di trattamenti economici [dei dipendenti pubblici] può avvenire esclusivamente mediante contratti collettivi o, alle condizioni previste, mediante contratti individuali. Le disposizioni di legge, regolamenti o atti amministrativi che attribuiscono incrementi retributivi non previsti da contratti cessano di avere efficacia a far data dall’entrata in vigore del relativo rinnovo contrattuale. I trattamenti economici più favorevoli in godimento sono riassorbiti con le modalità e nelle misure previste dai contratti collettivi (…)»
30. Il Consiglio di Stato, riunito in Adunanza Plenaria (decisione n. 8 del 16 marzo 1992) ha dichiarato che il beneficio del mantenimento salariale più favorevole senza riassorbimento, in caso di trasferimento da un’amministrazione ad un’altra, come previsto dall’articolo 202 del decreto del Presidente della Repubblica n. 3 del 1957 e dall’articolo 12 del decreto del Presidente della Repubblica n. 1079 del 1970, non può essere applicato al personale di enti pubblici dotati di personalità giuridica distinta da quella dell’amministrazione centrale dello Stato.
31. Nella sua sentenza n. 8543/06 (depositata l’8 gennaio 2007, e seguita, tra altre, dalle sentenze n. 8690/06, n. 8693/2006, n. 9567/2006, n. 9569/2006, n. 55/2007, n. 18129/14 e n. 17125/15), la Corte di cassazione ha affermato che:
«(…) la giurisprudenza amministrativa ha evidenziato che il principio contenuto nell’articolo 202 del D.P.R. [decreto del Presidente della Repubblica] n. 3 del 1957 non è espressione di un principio generale, applicabile indistintamente a tutti i dipendenti pubblici, dovendosi interpretare la norma nel senso che concerne esclusivamente i casi di passaggio di carriera presso la stessa Amministrazione statale, e non anche i passaggi nell’ambito di Amministrazione non statale (…). La Corte [di cassazione] condivide questa interpretazione, ritenendo che la norma citata miri ad evitare un regresso nel trattamento economico raggiunto in caso di trasferimento del personale; ma di regresso può parlarsi soltanto confrontando posizioni omogenee nel contesto di un sistema burocratico unitario (…).
(…) l’ordinanza ministeriale 217/98 non prevede nulla in merito al riassorbimento dell’assegno di garanzia stipendiale riconosciuto agli insegnanti in occasione della procedura di mobilità (…). Questa osservazione consente di ricollocare il presente caso nella scia del principio generale del riassorbimento degli assegni ad personam [in assenza
di disposizioni derogatorie che prevedano in modo esplicito l’esclusione, per l’assegno, del riassorbimento]; (…) il trattamento economico riconosciuto prima del trasferimento degli interessati è soggetto all’applicabilità del principio di riassorbimento, quando gli insegnanti beneficiano di un aumento salariale o di un avanzamento di carriera dopo il trasferimento.»
II. L’AZIONE DI RIPETIZIONE DELL’INDEBITO
32. L’articolo 2033 del codice civile, che disciplina l’azione di ripetizione dell’indebito quando è stato eseguito un pagamento non dovuto (indebito oggettivo), è così formulato: «Chi ha eseguito un pagamento non dovuto ha diritto di ripetere ciò che ha pagato. Ha inoltre diritto ai frutti e agli interessi dal giorno del pagamento, se chi lo ha ricevuto era in mala fede, oppure, se questi era in buona fede, dal giorno della domanda.»
33. Se la giurisprudenza maggioritaria ha sempre interpretato il principio della ripetizione dell’indebito nel senso che la «buona fede» del beneficiario non consente di escludere il recupero della somma versata senza titolo (si vedano, tra molte, Corte di cassazione, n. 8338 del 2010, Consiglio di Stato n. 2699 del 2006), il Consiglio di Stato, con le sue sentenze nn. 5314 e 5315 del 2014 (si vedano anche Consiglio di Stato n. 2118 del 13/04/2012, n. 3773 del 2007 e n. 6291 del 15/10/2003) ha ritenuto che l’esistenza cumulativa di altre condizioni possa costituire un’eccezione all’applicazione generalizzata del principio di ripetizione dell’indebito. In particolare, ha affermato che:
«(…) detto recupero ha carattere di doverosità e costituisce esercizio, ai sensi dell’articolo 2033 codice civile, di un vero e proprio diritto soggettivo a contenuto patrimoniale, non rinunziabile, in quanto correlato al conseguimento di quelle finalità di pubblico interesse, cui sono istituzionalmente destinate le somme indebitamente erogate, mentre le situazioni di affidamento e di buona fede dei percipienti rileverebbero ai soli fini delle modalità con cui il recupero deve essere effettuato, in modo cioè da non incidere in maniera eccessivamente onerosa sulle esigenze di vita del dipendente (si vedano, ex plurimis, Consiglio di Stato, sez. III, 9 giugno 2014, n. 2903, e gli ivi richiamati precedenti giurisprudenziali).
Invero, i riportati principi giurisprudenziali, pur apparendo condivisibili in linea astratta, non possono essere applicati in via automatica, generalizzata e indifferenziata a qualsiasi caso concreto di indebita erogazione, da parte della pubblica amministrazione, di somme ai propri dipendenti, dovendosi aver riguardo alle connotazioni, giuridiche e fattuali, delle singole fattispecie dedotte in giudizio, tenendo conto della natura degli importi di volta in volta richiesti in restituzione, delle cause dell’errore che aveva portato alla corresponsione delle somme in contestazione, del lasso di tempo trascorso tra la data di corresponsione e quella di emanazione del provvedimento di recupero, dell’entità delle somme corrisposte in riferimento alle correlative finalità, ecc.»
IN DIRITTO
I. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO N. 1 ALLA CONVENZIONE
34. La ricorrente sostiene che la condanna a rimborsare all’INPS la somma di 13.288,39 EUR, versata a titolo di garanzia stipendio, ha comportato la violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione, così formulato:
«Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di porre in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende.»
A. Oggetto del ricorso
35. Per quanto riguarda l’oggetto della presente doglianza, la Corte indica innanzitutto che quest’ultima non verte sull’applicazione del principio di riassorbimento all’assegno ad personam riconosciuto alla ricorrente, ma sugli effetti dell’azione di ripetizione delle somme versate dall’INPS dal 1998 al 2004.
B. Sulla ricevibilità
36. La Corte constata che il governo convenuto non solleva alcuna eccezione preliminare in ordine alla ricevibilità del ricorso. Tuttavia, la Corte, rammentando che può sollevare d’ufficio, tra altre, una questione relativa alla sua competenza ratione materiae, ritiene necessario esaminare l’applicabilità dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 di sua iniziativa (Romeva c. Macedonia del Nord, n. 32141/10, § 37, 12 dicembre 2019, Tănase c. Moldavia [GC], n. 7/08, § 131, CEDU 2010, e Blečić c. Croazia [GC], n. 59532/00, § 67, CEDU 2006 III).
37. In particolare, rinviando ai principi enunciati nella causa Čakarević c. Croazia (n. 48921/13, §§ 50-53, 26 aprile 2018; si veda anche Romeva, sopra citata, §§ 38-39), la Corte rileva che, per stabilire se il presente ricorso rientri nel campo di applicazione dell’articolo sopra citato, occorre esaminarlo alla luce del fatto che la ricorrente ha beneficiato, da settembre 1998 a febbraio 2004, del versamento mensile di un assegno ad personam in base alle disposizioni che disciplinano la mobilità intercompartimentale tra il Ministero della Pubblica Istruzione e l’INPS (paragrafi 26-28 supra).
38. La Corte osserva che l’INPS ha regolarmente effettuato il suddetto versamento, in favore della ricorrente, durante il periodo indicato. Osserva inoltre che, successivamente, a seguito di alcune sentenze della Corte di cassazione emesse a partire dal 2006 (paragrafo 31 supra), che stabilivano che l’assegno ad personam era sottoposto alla regola generale del riassorbimento, vale a dire era soggetto alla riduzione del suo importo all’aumentare dello stipendio base, l’amministrazione ha avviato un’azione di ripetizione della somma che riteneva costituisse un versamento indebito. Se il tribunale di primo grado ha riconosciuto la preminenza dell’interesse della ricorrente e ha respinto l’azione dell’INPS (paragrafo 18 supra), la corte d’appello (paragrafo 20 supra), con decisione confermata dalla Corte di cassazione, ha accolto la domanda dell’amministrazione. Pertanto, la Corte considera che, nella presente causa, si pone la questione di stabilire se, in queste circostanze particolari, si possa ritenere che la ricorrente avesse un «legittimo affidamento» nel senso autonomo della Convenzione, di poter conservare le somme già percepite a titolo di garanzia stipendiale.
39. La Corte osserva innanzitutto che il diritto della ricorrente di percepire l’assegno in questione derivava dalla valutazione dell’INPS, principale organo del sistema pubblico italiano incaricato di organizzare il servizio legato alle prestazioni di previdenza sociale. Applicando le disposizioni di cui sopra, questo ente ha continuato a versare l’assegno ad
personam per circa sei anni. Inoltre, si deve rilevare che, secondo i documenti presentati dal governo convenuto, l’INPS ha effettuato i versamenti senza alcun riferimento alla riserva di ripetizione dell’indebito (Čakarević, sopra citata, § 59).
40. La Corte osserva anche che, da parte sua, la ricorrente ha potuto constatare che l’amministrazione l’aveva ammessa al beneficio dell’assegno ad personam, e ritenere a giusto titolo che questa decisione e la sua esecuzione fossero fondate (ibidem, § 56). Peraltro, occorre rilevare che il governo convenuto non mette in dubbio la «buona fede» della ricorrente, né sostiene che la stessa abbia contribuito in qualche modo a provocare la situazione contestata: l’interessata ha presentato la sua domanda di mobilità nel rispetto delle disposizioni applicabili e ha percepito il versamento dell’assegno disponendo di informazioni tali da rassicurarla sul suo diritto al beneficio della garanzia stipendio (Romeva, sopra citata, § 43, e Čakarević, sopra citata, §§ 59-60).
41. L’interessata non poteva quindi ragionevolmente dubitare, almeno fino al mese di febbraio 2004 (paragrafo 11 in fine supra), data di invio dell’e-mail contestata, che il suo diritto al beneficio della garanzia stipendiale fosse stato accordato per errore, ed era legittimata a ritenere, basandosi sulle disposizioni applicabili al suo trasferimento (paragrafi 23 24 supra), che la decisione di versarle le somme contestate non avrebbe perso la sua validità. Inoltre, il tempo trascorso ha potuto generare nella ricorrente la convinzione che questa parte del suo reddito fosse stabile (Gashi c. Croazia, n. 32457/05, § 22, 13 dicembre 2007).
42. In conclusione, tutti gli elementi richiamati permettono alla Corte di concludere che, tenuto conto delle circostanze della causa nel loro insieme, la ricorrente può essere considerata titolare di un interesse patrimoniale sufficientemente riconosciuto e importante da costituire un «bene» ai sensi della norma espressa nella prima frase dell’articolo 1 del Protocollo n. 1, il quale è quindi applicabile alla doglianza in esame (Béláné Nagy c. Ungheria [GC], n. 53080/13, § 94, 13 dicembre 2016, Romeva, sopra citata, §§ 44 e 45, Čakarević, sopra citata, § 65, e Moskal c. Polonia, n. 10373/05, §§ 44- 46, 15 settembre 2009).
43. Inoltre, constatando che tale doglianza non è manifestamente infondata ai sensi dell’articolo 35 § 3 a) della Convenzione e non incorre in altri motivi di irricevibilità, la Corte la dichiara ricevibile.
C. Sul merito
1. Osservazioni delle parti
44. La ricorrente non contesta la legittimità del principio di riassorbimento degli aumenti di stipendio a partire dal 2004, ma piuttosto l’obbligo di rimborso delle somme che l’INPS le aveva già versato, che considera parte integrante del suo patrimonio.
45. La stessa afferma che gli importi in questione le sono stati versati senza che fosse indicata una «riserva di ripetizione» e senza alcuna indicazione relativa al loro carattere provvisorio, in applicazione di un quadro normativo determinato, nella fattispecie la normativa applicabile alla procedura di mobilità (paragrafi 23-24 e 26-28 supra). A suo parere, tale quadro ha fatto sorgere in lei un’aspettativa legittima e ragionevole per quanto riguarda il carattere definitivo dei versamenti, tanto più che l’INPS ha richiesto la restituzione delle somme in questione quasi dieci anni dopo che era iniziato il versamento delle stesse, basandosi sulla giurisprudenza della Corte di cassazione che, nel frattempo, si era consolidata a partire dal 2006 (paragrafo 31 supra).
46. La ricorrente ritiene che l’azione dell’amministrazione si sia fondata su una nuova interpretazione delle disposizioni applicabili, non prevedibile, il che sarebbe contrario ai principi della Corte.
47. La ricorrente sottolinea inoltre la sua situazione economica e il suo stato di salute, argomentando che l’obbligo di rimborso ha avuto un impatto decisivo sulla sua pensione, pari a circa 1.200 EUR, dalla quale si dovrebbero detrarre le spese sanitarie da lei sostenute per un trattamento di chemioterapia per un linfoma. La ricorrente indica anche che, basandosi sulla sua situazione patrimoniale preesistente al sopraggiungere della causa con l’amministrazione, aveva contratto un mutuo immobiliare per finanziare l’acquisto della sua abitazione, prevedendo che sarebbe stata in grado di rimborsare la somma presa in prestito grazie ai suoi redditi. La stessa precisa che, attualmente, versa 350 EUR mensili a titolo di rimborso del mutuo in questione.
48. La ricorrente afferma inoltre di non aver ricevuto la e-mail che l’INPS le ha inviato nel 2004 per informarla di un prossimo riesame della sua situazione stipendiale (paragrafo 11 supra), e sostiene che, nel periodo in cui le sarebbe stata inviata tale e-mail, lei era già ammalata e spesso assente dall’ufficio. La ricorrente lamenta che il Governo non ha mai fornito la prova dell’avvenuto ricevimento di tale messaggio e considera che, per una comunicazione così importante, l’INPS avrebbe dovuto utilizzare un sistema di ricevimento sicuro, se del caso l’invio tramite lettera raccomandata con avviso di ricevimento. In ogni caso, la ricorrente afferma di essere stata informata tardivamente con tale comunicazione del 2004 del carattere presumibilmente erroneo dei versamenti in questione.
49. Il Governo, basandosi sulla giurisprudenza interna per giustificare l’azione di ripetizione delle somme controverse, afferma che quest’ultima è conforme all’articolo 1 del Protocollo n. 1, e indica che la ricorrente ha potuto mantenere il suo stipendio iniziale, come gli altri insegnanti trasferiti, grazie al versamento dell’assegno ad personam. Il Governo aggiunge che, successivamente, via via che il suo stipendio aumentava all’interno dell’INPS, l’assegno avrebbe dovuto essere soggetto al principio di riassorbimento, al fine di evitare che l’interessata fosse «privilegiata» in permanenza, per quanto riguarda il suo trattamento stipendiale, rispetto agli altri dipendenti dell’INPS.
50. Il Governo afferma inoltre che, contrariamente a quanto dichiarato dalla ricorrente a tale riguardo, non è intervenuto alcun cambiamento giurisprudenziale in materia di riassorbimento. In particolare, a suo parere, la giurisprudenza amministrativa maggioritaria ha sempre escluso un’applicazione generalizzata del trattamento privilegiato di cui beneficia la ricorrente (paragrafo 30 supra). Le disposizioni citate da quest’ultima sarebbero applicabili soltanto ai trasferimenti all’interno dell’amministrazione centrale dello Stato. Questo stesso orientamento sarebbe seguito dalla giurisprudenza maggioritaria dei giudici del lavoro (paragrafo 31 supra). Perciò, contrariamente alle affermazioni della ricorrente, non vi sarebbe stato alcun ribaltamento giurisprudenziale.
51. Il Governo afferma inoltre che la situazione della ricorrente e degli altri insegnanti in esubero, ai quali era stata offerta la possibilità di un trasferimento all’INPS, è simile a quella dei ricorrenti della causa Torri e altri c. Italia ((dec.), nn. 11838/07 e 12302/07, 24 gennaio 2012), dichiarata irricevibile dalla Corte.
52. Infine, il Governo afferma che la e-mail in questione è stata inviata alla ricorrente il 27 febbraio 2004, informandola della possibilità di un’azione di recupero degli eventuali indebiti, versati per il periodo 1998-2004. A suo parere, tale e-mail menzionava numerose cause in corso e indicava che gli eventuali versamenti non dovuti sarebbero stati
successivamente oggetto di un recupero, dopo il consolidamento della giurisprudenza interna.
2. Valutazione della Corte
53. Considerati i principi generali applicabili in materia ai quali essa rinvia (Romeva, sopra citata, §§ 55-59 e 62-73, Čakarević, sopra citata, §§ 73 89, Moskal, sopra citata, §§ 50-52, e Grobelny c. Polonia, n. 60477/12, §§ 55-62, 5 marzo 2020) e tenuto conto delle sue conclusioni relative all’applicabilità dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla presente causa (paragrafo 42 supra), la Corte ritiene che la misura in contestazione abbia costituito un’ingerenza nel diritto della ricorrente al rispetto dei suoi beni. Di conseguenza, per essere compatibile con la norma generale enunciata nella prima frase dell’articolo 1 sopra menzionato, l’ingerenza deve soddisfare tre condizioni: deve essere stata compiuta «nelle condizioni previste dalla legge», «per causa di pubblica utilità» e nel rispetto di un giusto equilibrio tra i diritti della ricorrente e gli interessi della comunità (Beyeler c. Italia [GC], n. 33202/96, §§ 108-114, CEDU 2000 I, e Béláné Nagy c. Ungheria [GC], n. 53080/13, §§ 112-115, 13 dicembre 2016).
a) Sulla legalità dell’ingerenza
54. Per quanto riguarda la legalità dell’ingerenza, la Corte osserva che l’azione di ripetizione dell’indebito è stata convalidata da una sentenza della corte d’appello di Torino, confermata in cassazione, sulla base delle disposizioni interne pertinenti in materia e della giurisprudenza del Consiglio di Stato e della Corte di cassazione (paragrafi 30-31 supra). La misura in contestazione era dunque prevista dalla legge, come esige l’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione.
b) Sullo scopo legittimo dell’ingerenza
55. Passando alla questione dello scopo legittimo, in assenza di osservazioni formulate su questo punto dalle parti, la Corte si limita a rilevare che i giudici interni hanno rammentato i principi generali propri alla nozione di ripetizione dell’indebito. Essa considera perciò che l’ingerenza rispondesse a uno scopo legittimo, in quanto è nell’interesse pubblico che i beni ricevuti su una base inesistente o che abbia cessato di esistere siano restituiti allo Stato (Čakarević, sopra citata, § 76).
c) Sulla proporzionalità dell’ingerenza
56. Resta da procedere all’esame dell’ultima condizione prevista dall’articolo 1 del Protocollo n. 1: la Corte deve quindi esaminare se l’ingerenza in questione abbia rotto il giusto equilibrio che deve esistere tra le esigenze dell’interesse pubblico generale, da una parte, e quelle della protezione del diritto dell’individuo al rispetto dei suoi beni, dall’altra (Romeva, sopra citata, § 57). Pertanto, il giusto equilibrio non sarà stato rispettato se la persona interessata sostiene un onere particolare ed eccessivo (Béláné Nagy, sopra citata, § 115).
57. Anzitutto, per quanto riguarda il «margine di apprezzamento» dello Stato, la Corte rammenta che il trasferimento della ricorrente si è svolto nell’ambito di un procedimento più complesso di riorganizzazione della pubblica amministrazione. In effetti, la procedura di mobilità è stata avviata allo scopo di reintegrare un numero considerevole di funzionari della Pubblica Istruzione che si trovavano in esubero (paragrafo 5 supra). In questo contesto, agli interessati è stato riconosciuto il beneficio di un assegno ad personam, la cui funzione era evitare che il trasferimento di questi dipendenti in transito dalla loro
amministrazione di origine verso un altro ente statale, nella fattispecie l’INPS, potesse avere un impatto sui loro stipendi. Il suddetto assegno sembrava rispondere, per la sua finalità, al principio che vieta la reformatio in peius del trattamento economico dei dipendenti del settore pubblico, allo scopo di favorire la mobilità del personale interessato ed evitare che delle considerazioni di ordine economico possano ostacolare il trasferimento dei dipendenti.
58. La Corte osserva che la realizzazione di procedure di mobilità e la previsione di misure di garanzia stipendiale come l’assegno ad personam fanno entrare in gioco delle considerazioni legate alle politiche economiche e sociali che rientrano, in linea di principio, nell’ampio margine di apprezzamento accordato agli Stati in questo ambito (si vedano, tra molte altre, Béláné Nagy, sopra citata, § 113, e Valkov e altri c. Bulgaria, nn. 2033/04 e altri 8, § 91, 25 ottobre 2011). Tuttavia, questo margine può essere più stretto quando, in casi come quello in esame, in cui sono state versate delle somme per errore alla parte interessata, l’errore è imputabile unicamente alle autorità statali (Čakarević, sopra citata, § 78, e Moskal, sopra citata, § 73).
59. Ritornando alle circostanze della causa, e soprattutto al comportamento della ricorrente, la Corte rammenta di avere già constatato che nulla nella presente causa permette di considerare che quest’ultima sia responsabile della valutazione erronea del suo fascicolo, e quindi del versamento dell’assegno ad personam (paragrafo 40 supra). L’interessata si è limitata a partecipare all’appello alla mobilità e a fornire le informazioni pertinenti richieste (paragrafo 7 supra). Nella fattispecie risulta che, a differenza di quanto è stato osservato in altre situazioni in cui l’errore derivava da un’omissione del beneficiario (B. c. Regno Unito, n. 36571/06, § 39, 14 febbraio 2012), l’errore di valutazione è stato commesso dall’INPS, in quanto tale organismo ha applicato le disposizioni relative alla procedura di mobilità intercompartimentale riguardante la ricorrente secondo un’interpretazione successivamente considerata erronea dai giudici interni (Romeva, sopra citata, § 68, e Čakarević, sopra citata, §§ 79 e 80). Durante il periodo dei versamenti, l’INPS ha ritenuto che le circostanze del caso di specie fossero univoche, il che ha condotto tale organismo a considerare giustificato il pagamento integrale dell’assegno ad personam.
60. Inoltre, la Corte ritiene, in riferimento al grado di affidamento che la ricorrente poteva avere nell’esattezza della decisione dell’INPS, che la natura del datore di lavoro assuma una certa importanza nell’esame globale della proporzionalità dell’ingerenza (Čakarević, sopra citata, § 80). In effetti, il legittimo affidamento di un dipendente può ragionevolmente trovare un sostegno diverso a seconda delle caratteristiche del datore di lavoro, e pertanto dell’autorità con la quale quest’ultimo interpreta e applica norme più o meno complesse.
61. Nel caso di specie, si deve osservare che il datore di lavoro della ricorrente, l’INPS, è l’organismo incaricato della gestione del sistema di pensione obbligatoria e degli altri servizi di previdenza sociale previsti a livello nazionale. Risulta peraltro che l’INPS è stato coinvolto nell’attivazione della procedura di mobilità, almeno nelle prime fasi di quest’ultima (paragrafo 28 supra). La decisione di procedere al versamento dell’assegno ad personam proviene dunque da un ente pubblico all’esito di un processo amministrativo. Questo significa che, dal punto di vista della ricorrente, l’applicazione delle disposizioni pertinenti in materia poteva essere ragionevolmente percepita come esatta e basata su atti amministrativi.
62. A questo riguardo, la Corte rammenta il principio secondo il quale, se una decisione amministrativa può essere oggetto di una revoca per il futuro (ex nunc), l’aspettativa che essa non sia rimessa in discussione retroattivamente (ex tunc) deve generalmente essere
riconosciuta come legittima, a meno che non esistano seri motivi contrari fondati sull’interesse generale o di terzi (Čakarević, sopra citata, §§ 56 e 80, e la giurisprudenza ivi citata).
63. La Corte osserva, nella fattispecie, che il Governo convenuto contesta la tesi della parte ricorrente, affermando che non vi sarebbe stata alcuna incertezza per quanto riguarda l’interpretazione delle disposizioni interne che disciplinano la procedura di mobilità e l’applicazione del principio di riassorbimento all’assegno ad personam (paragrafi 46-50 supra).
64. A questo titolo, il Governo cita una decisione dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato del 1992 (paragrafo 30 supra) secondo la quale il beneficio del mantenimento senza riassorbimento del trattamento stipendiale più favorevole, in caso di trasferimento all’interno di un’altra amministrazione, non si può applicare al personale di enti pubblici dotati di personalità distinta dall’amministrazione centrale dello Stato.
65. La Corte constata, a tale proposito, che questa interpretazione consolidata non è stata seguita dall’INPS, in quanto tale ente ha versato la stessa somma alla ricorrente per anni. Si deve osservare che l’ordinanza ministeriale n. 217 del 6 maggio 1998 non indicava, almeno in maniera esplicita, se il principio di riassorbimento fosse applicabile o meno alla mobilità che interessava la ricorrente, in quanto le sue disposizioni si limitavano a prevedere un assegno ad personam per tutti i dipendenti della Pubblica Istruzione trasferiti. Successivamente, è la Corte di cassazione che è intervenuta in questo ambito, a partire dal 2006, affermando che la norma generale del riassorbimento si applicava anche ai trasferimenti all’interno dell’INPS.
66. La Corte rileva dunque che persisteva un’incertezza per quanto riguarda l’applicabilità del principio di riassorbimento, tanto che l’INPS ha versato le somme compensatorie all’interessata senza indicare una riserva di ripetizione, e l’assenza di una tale menzione (paragrafo 45 supra) non può portare a rimettere in discussione l’affidamento legittimo della ricorrente.
67. Inoltre, la Corte osserva, come già indicato sopra, che i versamenti sono avvenuti per un periodo molto lungo, ossia quasi sei anni. Non si tratta dunque di un errore una tantum e isolato, né di un semplice errore di calcolo che la ricorrente avrebbe potuto rilevare, eventualmente ricorrendo a un esperto. Quest’ultima poteva ragionevolmente considerare che i versamenti in questione fossero stabili e destinati a essere definitivi.
68. La Corte rammenta, pertanto, che il principio di «buon governo» esige che, quando è in gioco una questione di interesse generale, le autorità pubbliche agiscano in tempo utile, in maniera appropriata e con la massima coerenza (Beyeler, sopra citata, § 120, Romeva, sopra citata, § 58, e Moskal, sopra citata, § 51).
69. Nel caso di specie, essa osserva che l’INPS, dopo avere atteso che si consolidasse la giurisprudenza interna, ha proceduto all’azione di ripetizione soltanto nel 2008 – ossia circa dieci anni dopo il primo versamento, sei anni se si considera il momento in cui le autorità si sono accorte dell’eventuale esistenza di un errore di versamento (paragrafo 52 supra, in fine).
70. Un altro elemento che la Corte desidera sottolineare riguarda il fatto che l’assegno ad personam è previsto dal diritto interno come un elemento di garanzia stipendiale, calcolato pertanto sull’importo dello stipendio della vecchia funzione e versato in rapporto all’attività ordinaria del dipendente. Non si tratta di un assegno versato in
relazione ad un’attività lavorativa accessoria fornita dal dipendente (come, ad esempio, nel caso di indennità legate alle ore di straordinario), avente pertanto un carattere sporadico, il che potrebbe eventualmente giustificare, tenuto conto della sua natura occasionale e isolata, un errore da parte delle autorità per quanto riguarda l’importo da riconoscere agli interessati.
71. Infine, la Corte constata che, anche se il versamento dell’assegno deriva interamente da un errore dell’INPS, è la ricorrente ad essere stata condannata a restituire a tale ente la totalità delle somme versate in eccesso, senza tenere conto delle circostanze che caratterizzano la causa (paragrafo 33 supra). Non è stata stabilita alcuna responsabilità dello Stato o di un altro ente pubblico, che aveva invece causato la situazione e, per di più, l’onere di questo errore è gravato interamente sulla ricorrente (si vedano Čakarević, sopra citata, § 86, e Lelas c. Croazia, n. 55555/08, § 77, 20 maggio 2010, e, a contrario, Moskal, sopra citata, § 70).
72. La Corte riconosce che la ricorrente ha ottenuto il consenso dell’INPS a una rateizzazione del rimborso. Essa rammenta, tuttavia, che la somma richiesta rappresenta una parte significativa dei redditi dell’interessata, tenuto conto della situazione economica di quest’ultima: al momento della condanna al rimborso della somma controversa, la pensione della ricorrente ammontava a 1.200 EUR. All’epoca, l’interessata aveva già iniziato un trattamento di chemioterapia che, secondo le sue affermazioni, non contraddette dal Governo, ha inciso in maniera significativa sui suoi redditi (paragrafo 47 supra).
73. Pertanto, la Corte osserva che i giudici interni, decidendo sull’azione di ripetizione, non hanno tenuto conto né della situazione economica né delle condizioni di salute della ricorrente (Čakarević, sopra citata, § 89).
d) Conclusione
74. Alla luce delle considerazioni sopra esposte (paragrafi 59-73 supra), la Corte rammenta in particolare che: a) il versamento di un assegno deve essere effettuato a seguito di una domanda presentata dal beneficiario che agisce in buona fede (Čakarević, sopra citata, § 82; Moskal, sopra citata, § 68) o, in assenza di tale domanda, dalle autorità che procedono in maniera spontanea; b) il versamento in questione deve essere effettuato da un ente pubblico, amministrazione centrale dello Stato o altro ente pubblico, sulla base di una decisione adottata all’esito di un processo amministrativo e che si presume esatta (Romeva, sopra citata, § 68; Čakarević, sopra citata, § 80); c) deve essere fondato su una disposizione di legge, regolamentare o contrattuale, la cui applicazione deve essere percepita dal beneficiario come la «fonte» del versamento (ibidem, § 83), e individuabile anche nel suo importo; d) il versamento manifestamente privo di titolo o basato su semplici errori di calcolo è escluso; tali errori possono essere rilevati dal beneficiario, eventualmente ricorrendo ad un esperto; e) deve essere effettuato per un periodo sufficientemente lungo per far nascere la convinzione ragionevole del suo carattere definitivo e stabile (ibidem, § 85, Moskal, sopra citata, § 69); l’assegno versato non deve essere in rapporto ad un’attività professionale occasionale e «isolata», ma deve essere legato all’attività ordinaria; f) infine, il versamento in questione non deve essere stato effettuato con l’indicazione di una riserva di ripetizione.
Pertanto, la Corte ritiene che, alla luce delle circostanze particolari del caso di specie, l’ingerenza subita dalla ricorrente sia stata sproporzionata in quanto quest’ultima, da sola, ha dovuto sostenere l’onere dell’errore commesso dall’amministrazione.
75. Vi è dunque stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione.
II. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 14 DELLA CONVENZIONE IN COMBINATO DISPOSTO CON L’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO N. 1 ALLA CONVENZIONE
76. La ricorrente lamenta anche gli effetti discriminatori che sarebbero derivati dall’applicazione delle disposizioni relative alle procedure di mobilità, e che avrebbero generato una distinzione tra, da una parte, i dipendenti trasferiti tra amministrazioni centrali dello Stato e, dall’altra, quelli trasferiti in un’altra amministrazione pubblica. Essa vede in ciò una disparità di trattamento ingiustificata e contraria all’articolo 14 della Convenzione in combinato disposto con l’articolo 1 del Protocollo n. 1. Ai sensi della prima di tali disposizioni:
«Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella (…) Convenzione deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o quelle di altro genere, l’origine nazionale o sociale, l’appartenenza a una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita od ogni altra condizione.»
77. Il Governo contesta questa tesi.
78. La Corte constata che questa doglianza è strettamente legata a quella relativa all’articolo 1 del Protocollo n. 1 e la dichiara ricevibile.
79. Tenuto conto della constatazione di violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione alla quale è giunta (paragrafo 75 supra), la Corte ritiene che non sia necessario esaminare la questione se, nel caso di specie, vi sia stata violazione dell’articolo 14 della Convenzione (Beyeler, sopra citata, § 126).
III. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
80. Ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione:
«Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.»
A. Danno
81. La ricorrente chiede la somma di 15.318,39 euro (EUR) a titolo di risarcimento del danno materiale che ritiene di avere subìto, nonché la somma di 5.000 EUR, o qualsiasi altro importo che la Corte ritenga appropriato accordarle, per il danno morale che afferma di avere subìto.
82. Il Governo si oppone a queste richieste, che considera infondate. A suo parere, accogliere tali domande porterebbe ad un arricchimento indebito dell’interessata.
83. La Corte osserva che la somma richiesta per il danno materiale dedotto include in primo luogo il debito della ricorrente, che ammonta a 13.288,39 EUR, relativo all’azione di ripetizione dell’indebito.
84. La Corte constata che il rimborso di tale somma è stato effettuato tramite prelievi automatici mensili di 200 EUR sulla pensione della ricorrente. Ora, secondo le ultime informazioni fornite alla Corte, al momento della presentazione delle domande della parte
ricorrente sull’equa soddisfazione, nel febbraio 2016, il piano di rimborso indicava un debito residuo di 8.288,96 EUR, essendo già stati versati 5.000 EUR all’INPS.
85. La Corte rileva che le parti non hanno indicato che il prelievo automatico sia stato sospeso per un qualsiasi motivo. Pertanto, essa ritiene plausibile che l’importo di 13.288,39 EUR sia stato interamente rimborsato all’amministrazione. Di conseguenza, nella misura in cui tale somma sia stata versata interamente all’INPS, la Corte accorda alla ricorrente, per questa parte della domanda, la somma di 13.288 EUR per danno materiale.
86. La Corte osserva, inoltre, che la somma richiesta per il danno materiale dedotto include, in secondo luogo, il pagamento delle spese processuali sostenute dall’INPS al quale la ricorrente è stata condannata, il cui importo è stato fissato dalla Corte di cassazione in 2.030 EUR (paragrafo 21 supra). Nella sua domanda di equa soddisfazione, la ricorrente ha chiesto il rimborso di 1.000 EUR, basandosi su documenti giustificativi che dimostravano l’avvenuto pagamento della metà della somma dovuta, e poi, dopo aver versato la seconda metà di tale somma (1.030 EUR), ha presentato alla Corte i documenti giustificativi necessari e l’ha invitata a tenerne conto nel calcolo del danno materiale.
87. La Corte constata che la ricorrente aveva già fornito, nella sua domanda di equa soddisfazione, la prova dell’obbligo legale di rimborsare la totalità delle spese processuali sostenute dall’INPS, ossia l’ordinanza della Corte di cassazione che la condannava al versamento della somma di 2.030 EUR (si veda anche la lettera dell’INPS che reclamava tale somma) (paragrafo 21 supra). Essa rileva, inoltre, che la ricorrente ha presentato i giustificativi che dimostravano i versamenti realizzati effettivamente e in maniera progressiva, seguendo un approccio trasparente.
88. Pertanto, tenuto conto del nesso di causalità diretta tra la violazione constatata e la condanna a rimborsare le spese processuali della parte avversa, la Corte ritiene ragionevole accordare alla ricorrente anche la somma di 2.030 EUR a titolo di danno materiale.
89. In conclusione, la Corte accorda alla ricorrente la somma di 15.318 EUR per danno materiale. Tuttavia, la ricorrente non può trarre dalla sentenza della Corte un diritto a una duplice riparazione o un arricchimento indebito (Molla Sali c. Grecia (equa soddisfazione) [GC], n. 20452/14, § 46, 18 giugno 2020). Di conseguenza, nell’ipotesi in cui il rimborso della somma versata a titolo dell’azione di ripetizione non sia stato ancora interamente concluso alla data in cui la sentenza sarà divenuta definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, la ricorrente dovrà rimborsare allo Stato convenuto la somma eccedente accordata dalla Corte.
90. Quanto al danno morale dedotto, rammentando che la ricorrente si affida al giudizio della Corte, e tenuto conto dei principi derivanti dalla sua giurisprudenza in materia, essa ritiene opportuno accordare alla ricorrente la somma di 8.000 EUR per danno morale.
B. Spese
91. La ricorrente chiede la somma di 2.265,98 EUR per le spese sostenute per i procedimenti dinanzi ai giudici nazionali, nonché la somma di 500 EUR per la traduzione dei documenti relativi al procedimento interno, e si affida al giudizio della Corte per quanto riguarda le spese sostenute per il procedimento dinanzi ad essa.
92. Il Governo ritiene che la domanda sia infondata.
93. Secondo la giurisprudenza della Corte, un ricorrente può ottenere il rimborso delle spese sostenute solo nella misura in cui ne siano accertate la realtà e la necessità, e il loro importo sia ragionevole. Nella fattispecie, tenuto conto dei documenti di cui dispone e dei criteri sopra menzionati, la Corte ritiene ragionevole accordare alla ricorrente la somma di 2.500 EUR per le spese complessivamente sostenute, più l’importo eventualmente dovuto su tale somma dall’interessata a titolo di imposta.
C. Interessi moratori
94. La Corte ritiene opportuno basare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea maggiorato di tre punti percentuali.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,
- Dichiara il ricorso ricevibile;
- Dichiara che vi è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 allaConvenzione;
- Dichiara non doversi esaminare la doglianza formulata dal punto di vistadell’articolo 14 della Convenzione in combinato disposto con l’articolo 1 delProtocollo n. 1 alla Convenzione;
- Dichiara,
- che lo Stato convenuto deve versare alla ricorrente, entro tre mesi a decorrere dalla data in cui la sentenza sarà divenuta definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, le somme seguenti:
- 15.318 EUR (quindicimilatrecentodiciotto euro), secondo le condizioni indicate nel paragrafo 89 supra, per danno materiale,
- 8.000 EUR (ottomila euro), più l’importo eventualmente dovuto su tale somma a titolo di imposta, per danno morale,
- 2.500 EUR (duemilacinquecento euro), più l’importo eventualmente dovuto su tale somma dalla ricorrente a titolo di imposta, per le spese,
- che a decorrere dalla scadenza di detto termine e fino al versamento, tali importi dovranno essere maggiorati di un interesse semplice ad un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante quel periodo, aumentato di tre punti percentuali;
- che lo Stato convenuto deve versare alla ricorrente, entro tre mesi a decorrere dalla data in cui la sentenza sarà divenuta definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, le somme seguenti:
- Respinge la domanda di equa soddisfazione per il resto.
Fatta in francese, poi comunicata per iscritto l’11 febbraio 2021, in applicazione
dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento.
Ksenija Turković Presidente
Renata Degener Cancelliere aggiunto